LE TECNOLOGIE MOBILITANO LE COMUNITÀ, CONDIVIDONO LE RISORSE E DISTRIBUISCONO IL POTERE. NESTA RACCONTA UN FENOMENO IN ESPANSIONE
Alessia Maccaferri – Il Sole 24 Ore – 28 ottobre
C’è il contatore che monitora le radiazioni in tutto il mondo, il sito che raccoglie i dati sulla spesa dei governi e il fablab che costruisce prodotti con la stampa in 3D. Il filo sottile che intreccia queste storie si chiama innovazione sociale digitale (Dsi) che, secondo l’Unione europea, può contribuire ad affrontare grandi sfide come ripensare i servizi pubblici – a costi più bassi – reinventare le comunità e i modi in cui le persone collaborano tra loro, rivedere il business con modalità che rispondano maggiormente ai reali bisogni umani, come la crisi economica ha ben evidenziato. Tanto che la Ue sta investendo importanti risorse: più di 50 milioni di dollari nel programma Collective Awareness Platforms for Sustainability and Social Innovation e addirittura 200 milioni con il bando Fast Track to Innovation (che scade il 1 dicembre) all’interno del programma Horizon 2020.
Secondo Nesta, dopo la prima ondata di innovazione digitale con il computing, i dati e il world wide web, ora è il momento dell’innovazione digitale sociale che può contribuire a trovare nuovi modi di organizzare la democrazia, i consumi, la finanza e ogni aspetto della vita pubblica. Le tecnologie digitali sono particolarmente adatte a contribuire all’azione civica: mobilitano ampie comunità, condividono le risorse e ridistribuiscono il potere.
Le innovazioni principali della Dsi si esprimono in settori identificati da Nesta, che sono: nuovi modi di fare, l’open democracy, l’economia collaborativa, i network consapevoli improntati alla sostenibilità, l’open access e, infine, capitali, acceleratori e incubatori. L’organizzazione non profit li racconta passo passo in «Growthing a Digital social Innovation Ecosystem in Europe», voluto dalla Commissione Ue, come strumento per identificare le politiche più idonee a scalare la Dsi e renderla di impatto. Basta guardare la mappa europea (http://digitalsocial.eu) – su cui sono localizzati 1.044 esempi di Dsi – per comprendere quanto il fenomeno sia vasta e puntiforme.
Della nuova economia collaborativa fanno parte tutte quelle piattaforme che condividono beni, servizi, conoscenza e competenze. Include anche cripto-valute, nuove forme di crowdfunding, piattaforme di scambio e condivisione basate sulla reputazione e sulla fiducia. E qui oltre alla stessa Nesta, vengono citate P2P Foundation, OuiShare, Peerby.
I nuovi modi di fare comprendono tutto il movimento dei makers and do-it-yourself, free Cad/Cam software, il design open source. Esemplificativi Safecast per il monitoraggio delle radiazioni, i fablab (il primo fondato dal Mit nel 2002), Smart Citizen Kit. Nel modello di open democracy la tecnologia digitale abilita la partecipazione collettiva, ingaggiando i cittadini in processi decisionali e mobilitandoli. Tra le case history Open Ministry, Liquid Feedback, OpenSpending.
I network consapevoli sono sostenuti da cittadini e comunità impegnati, attraverso piattaforme di collaborazione, per risolvere temi ambientali, promuovere cambiamenti verso la sostenibilità, mobilitare la cittadinanza per rispondere alle emergenze delle diverse comunità. Nesta cita le città di Vienna e Santander, network personali come Tyze, e piattaforme di sharing economy come Peerby che favorisce il prestito di beni tra vicini. E ancora Crisis Net, sviluppata dalla non profit tech company Ushahidi, che raccoglie e organizza i dati sulle crisi da fonti diverse, come social media, sensori, dati in real time. Secondo Nesta, l’open access -inteso anche come accesso libero ai contenuti, open standard, diritti digitali ecc – può dare più potere ai cittadini e aumentare la loro partecipazione. Tra i casi da tenere sott’occhio Open Data Challenge and Open Cities, Communia e Github. Infine il vasto mondo di incubatori e acceleratori.
Le esperienze sono raggruppate secondo quattro trend tecnologici: open knowledge (412 casi), ovvero la co-produzione di nuove conoscenze basate su contenuti, fonti e accessi aperti, liberi. Ne fanno parte per esempio il network Communia o Flok open network (269 casi) consiste in sensori wireless, le reti di comunità come Guifi.net e network centrati sulla tutela della privacy come il noto Tor.
open data (258) ovvero modi innovativi di estrarre, usare, analizzare e interpretare i dati liberati delle persone e dell’ambiente come fa l’Helsinki Regione Infoshare o l’Open Data Challenge. open hardware (105), cioè nuovi modi di usare l’hardware stesso, l’open source e l’Internet of Things.
L’aggiornamento della open data crowd map è stata appena rifinanziato dalla Ue e sarà condotta assieme da Nesta, Arduino e Waag Society. «Dopo la mappatura delle esperienze vogliamo ora creare un hub di innovazione che faciliti i contatti tra le pratiche, i policy maker e i fondi, gli incubatori» spiega Francesca Bria, coordinatrice del progetto Dsi a Nesta. La nuova piattaforma sarà costruita nel 2016. «Vogliamo contribuire a mettere in luce – continua Bria – le potenzialità reali di questo settore trasversale e quindi a innovare l’approccio della pubblica amministrazione. Per esempio, se si progettano e si impostano le smart city dall’alto, l’impatto è ben diverso rispetto a un approccio di reale innovazione sociale». Per anni queste argomentazioni sono rimaste chiuse nelle stanze degli addetti ai lavoro. Ora anche l’Europa ci crede.