Il referendum farlocco

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Perché disertare l’urna il 22 ottobre 2017 e nel contempo non farsi defraudare della propria fiducia verso le istituzioni repubblicane.

“COMITATO RISCOSSA CIVICA VENETA CONTRO IL REFERENDUM FARLOCCO”

Autore Enzo De Biasi – Documento approvato dal Comitato il 1° settembre 2017

Premessa

L’autore di questo documento è Enzo De Biasi residente in Mogliano, cittadino e contribuente che ha integrato e condiviso i concetti qui espressi con altri cittadini e contribuenti: Alfonso Beninatto residente in Breda di Piave, Dino Bertocco residente in Padova, Lucio De Bortoli residente in Montebelluna, Giovanna Mazzer residente in Treviso, Ivano Sartor residente in Roncade, soci fondatori del comitato “Riscossa civica veneta contro il Referendum Farlocco”
Lo scopo è quello di fornire un quadro sufficientemente esaustivo sul significato effettivo e sulle probabili ricadute che potrà avere la prossima consultazione referendaria regionale, tenendo ben presenti: l’inconsistenza del quesito, gli equivoci e gli inganni volutamente creati dalla leadership leghista sull’argomento, la scarsità di informazione disponibile e la poca conoscenza e dimestichezza di gran parte dell’elettorato in materia istituzionale.
Il contesto di riferimento del quesito referendario, il livello nazionale.
Il 22 ottobre avrà luogo in Veneto il referendum indetto dal Presidente della Regione del seguente tenore: “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”
Ad una prima lettura è una domanda che desta subito simpatia. Difficile non voler rafforzare l’ente regione affidandogli maggiori capacità d’intervento nel proprio territorio. Rispetto ad altre entità che sono percepite più distanti – Stato Nazionale ed Unione Europea – in genere il cittadino veneto sente più vicina la Regione perché conosce di più i suoi rappresentanti ed anche perché è alla sua “portata”.
Ora, per capirne di più ed uscire dalla semplicità ingannevole ma intenzionale dell’interrogativo referendario, va detto che la frase è tratta dall’art. 116 comma 3 della Costituzione, che rimarca tre elementi fondativi volutamente omessi:
a) il rafforzamento delle competenze auspicate non può espandersi fino a mettere in discussione l’“Unità Nazionale”,
b) L’interpello al popolo non aggiunge né toglie alcunché. Le nuove competenze sono già tutte elencate nell’articolo citato e l’opzione regionale è tassativamente limitata a quell’elenco e, per altro verso, la scelta di cosa chiedere è già stata fatta dalla Regione nel marzo 2016, (11)
c) la richiesta della Regione Veneto di avere maggiori poteri, comporterà necessariamente un aumento del fabbisogno economico che essa potrà ottenere trattando obbligatoriamente con lo Stato, in via successiva. Tale

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fase negoziale, appena avviata il 16 maggio 2016 è stata inopinatamente ininterrotta per scelta unilaterale da parte della Regione Veneto. (22) Va ampiamente pubblicizzato che il referendum non serve a far diventare la Regione del Veneto né una Repubblica indipendente e sovrana, né tantomeno una Regione Speciale, così come lo sono: il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste. Alle Regioni speciali è riservato un trattamento di favore nei trasferimenti statali per l’esercizio delle funzioni attribuite, congiuntamente al fatto che esse trattengono presso di sé una percentuale variabile dei tributi e delle tasse pagate dai cittadini e dalle imprese residenti nei loro territori a partire da 6/10 decimi e fino a 9/10 decimi dell’incassato. (33)
Inoltre, l’inquadramento costituzionale dell’interrogativo sottoposto in autunno ai cittadini non è il risultato di qualche elaborazione proveniente da parte avversa a chi ha indetto il referendum, è invece quanto ha stabilito la Corte confermando i principi della Carta Costituzionale nella sentenza di luglio 2015, dopo che era stata interpellata da ben due leggi votate nel 2014 dal Consiglio Regionale del Veneto a guida leghista. (44) L’intervento del giudice delle leggi, previsto dalla Carta Costituzionale a tutela dell’equilibrio dei poteri stabiliti dalle norme codificate, è stato richiesto dal Governo in carica avvertendo minacciata l’unitarietà della Repubblica e l’invasione in materie di propria competenza, nelle fondamenta istituzionali e nel delicato settore del fisco e delle tasse. A fronte di 6 (sei) quesiti per il quale il Veneto ha chiesto di poter procedere con referendum, ben 5 (cinque) sono stati cassati; rimane in piedi quello citato che, se non arricchito di informazioni appropriate, appare più uno slogan che una domanda seria. (55) Nella prima e travolgente richiesta di referendum riguardante il “Veneto Repubblica Indipendente e Sovrana” , palesemente contraria ai principi fondanti e fondativi insiti nei primi 5 articoli della Costituzione, la sentenza nr.118/2015 nel motivare il diniego, richiama espressamente la tesi elaborata dal team di giuristi “a servizio” del Presidente della Regione e fatta propria dallo stesso, che per difendere l’indifendibile sostengono che “la consultazione prevista dalla legge in questione non sarebbe altro che “un sondaggio formalizzato” . Essendo questa la natura, di fatto, anche dell’unico quesito ammesso è appena il caso di osservare che trattasi di un’indagine svolta presso l’intero corpo elettorale il cui conto va addebitato al cittadino-contribuente -a sua insaputa- in quanto caricato nel bilancio regionale, ma distolto da ben più ragionevoli destinazioni a maggiore valenza economica e sociale.
Già a questo punto, numerose sono le motivazioni per chiedersi se ha senso recarsi il 22 ottobre alle urne. Ma proseguiamo nella narrazione, approfondendo ulteriormente la problematica sottesa al quesito in esame.
La diversità delle Regioni e delle Province Autonome a Statuto Speciale è una situazione oggettivamente intollerabile a settant’anni dall’approvazione della Carta Repubblicana, che la classe politica nazionale avrebbe dovuto e potuto affrontare da tempo e almeno dal 1992 allorquando in Maastricht venne deciso l’euro.Considerata l’inadeguatezza delle nostre classi dirigenti – peraltro sempre confermate dal suffragio popolare – del tutto incapaci nell’affrontare la rimozione delle palesi disparità territoriali, anche attraverso un referendum volto ad abrogare l’art. 116 comma 1 , non ha stupito, né stupisce il consenso raccolto dal movimento leghista che sollecita l’immaginario collettivo dei Veneti promettendo di diventare nei fatti, anche se non di diritto,” speciali” come le regioni finitime. Che l’obiettivo sia destituito da ogni plausibile fondamento, la dirigenza leghista lo sa ma non lo dice. D’altronde è ben difficile che il cittadino legga la Gazzetta Ufficiale oppure il Bollettino Ufficiale della Regione Veneto, sentenze della Corte e leggi regionali incluse.Infatti, nello specifico, l’attuale reggenza politica del Veneto non può che porre sullo stesso piano e con la stessa intensità la “guerra al Tiramisù friulano” e l’appello al voto per un quesito privo di contenuti, rivolgendosi in questo caso a tutta la popolazione regionale. L’operazione, in entrambi i casi, è perfino facilitata dato che la controparte è sempre “Roma ladrona”.Invece che risolvere in radice il problema delle disparità territoriali legittimamente certificate dalla Costituzione, il ceto politico maggioritario al governo nazionale nel 2001, per arginare in qualche modo il malumore crescente
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delle Regioni del Nord – capitanate al tempo da un giovane Leader Massimo, Umberto Bossi, ha provveduto aa modificare proprio gli articoli ora in discussione concedendo alle Regioni ordinarie la possibilità, previa richiesta allo Stato centrale, di avere maggiori poteri e risorse subordinando il tutto ad una trattativa di metodo, di merito e di soldi con il Governo nazionale. Giusto per ricordare i fatti, la riforma costituzionale del Titolo V della Costituzione fu sottoposta a referendum e la stessa venne confermata con il 64% (64.20%) dei votanti Si ed un 36% (35.80%) votanti No. Il Centro Sinistra a favore ed il Centro Destra, Lega inclusa, contrari.
………, il livello regionale.
Volendo ora esaminare qualche dettaglio, un po’ significativo per qualche altra riflessione sul tema, è il caso di iniziare proprio dalla formulazione stessa del quesito. E qui soccorre un paragone con quello omologo che si troverà di fronte il cittadino lombardo. È noto infatti che entrambe le regioni, Lombardia e Veneto, a trazione leghista vogliono battere il pugno sul tavolo nazionale per far valere le loro ragioni. Il testo veneto è il seguente: “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”
il testo lombardo recita invece: “Volete voi che la Regione Lombardia, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma della Costituzione? ”Il quesito lombardo rispetta, pur se in dose minima, il cittadino/elettore: prefigura infatti la complessità dell’iter successivo che non potrà prescindere dal “quadro dell’unità nazionale” e dalle “risorse” da reperirsi con le modalità stabilite dall’art. 116 comma terzo. La domanda in Veneto, a contrario, ha l’unico scopo di catturare da subito il SI del cittadino/elettore, chiedendo una pronta adesione. Dato che fa sparire la difficoltà del problema, non induce l’elettore ad alcun esame critico del testo e men che mai, sospinge verso una qualche forma di approfondimento sull’argomento.
Insomma il Presidente Lombardo salva almeno le apparenze ed offre un barlume di riflessione, il Presidente del Veneto il nulla! Conoscendo molto bene i Veneti, la comunicazione sarà focalizzata su di una unica tonalità “Cittadini, andate a votare il 22 ottobre” il resto verrà da sé. Chapeau, davvero un genio della comunicazione e delle tecniche di marketing!
Proseguendo nelle argomentazioni: la Corte, che ha ammesso la domanda che vedremo stampata sulla scheda, ha tenuto a precisare che “Il referendum è una fase anteriore ed esterna rispetto al procedimento prestabilito dall’art. 116” che consiste nell’ “approvazione di una legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, con voto favorevole delle Camere a maggioranza assoluta dei propri componenti e sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione stessa”. Inoltre, la Consulta constatato che manca “nel quesito qualsiasi precisazione in merito agli ambiti di ampliamento dell’autonomia regionale su cui si intende interrogare gli elettori” ha fornito, in sede di accoglimento del referendum farlocco, alla Regione la propria interpretazione autentica di cosa deve essere sottoposto al corpo elettorale. La domanda referendaria deve (avrebbe dovuto) esplicitare che le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» su cui gli elettori sono chiamati ad esprimersi possono riguardare solo le «materie di cui al terzo comma dell’art. 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s)», come stabilito nelle disposizioni costituzionali. Di tale prescrizione che sta nell’ordinanza di approvazione dell’unico quesito rimasto, non appare traccia nella scheda elettorale. L’omissione è stata voluta, infatti al Presidente interessa nascondere e non far conoscere al cittadino-elettore per quali finalità è interpellato, meglio una domanda evocativa e di fantasia del tipo “Vuoi tu bene alla mamma?” cosicché votando, ognuno esprime i propri sogni verso la genitrice ossia l’amata terra. Essendo l’ambito del referendum regionale “esterno” al percorso del comma 3 art. 116 e considerato che la consultazione è indubbiamente dispendiosa in termini di tempo perso e di denaro , dicasi 13.510.000,00 € a carico del bilancio regionale, ci si domanda cosa ha spinto il Presidente del Veneto ad abbandonare le trattative da poco avviate dal Governo il 16 maggio 2016 ed indire il referendum del 22 ottobre se non ragioni “altre”, ma di nessun concreto interesse né per i cittadini né per il territorio regionale. Chi sostiene la bontà della scelta referendaria non considera l’evenienza che, in caso di ulteriori inceppi, non si potrà ricorrere ad altra “arma di pressione popolare” nei confronti della governance politica nazionale e, conseguentemente, sulla questione calerà per sempre il sipario. È un rischio da tener ben presente.3

In verità, l’operazione risponde a tutt’altre esigenze, in primis quelle di riuscire a mantenere il consenso elettorale del centro destra, specificatamente quello leghista, dopo che la Corte ha bocciato definitivamente ogni e qualsivoglia velleità “padana” in materia di: indipendenza, sovranità, specialità, autonomia legislativa ed economica. Insomma il “borsellino ideologico” liquidato per via giudiziale, anziché dalla “buona politica”: un po’ triste ed amaro!
La scelta leghista di usare in termini avventati la “chiamata al popolo”, effettuata in via principale dal Presidente, ha fatto e sta facendo nel brevissimo termine gli interessi della sua parte politica. Egli è già un vincitore, a meno che alle urne non si presentino meno della metà più uno degli elettori.
Chi rappresenta allora l’interesse dell’Ente Regione ovvero della rappresentanza territoriale nel suo complesso?
Allo stato qualche voce sparuta, da qui la necessità di disertare l’urna il giorno 22 ottobre.

Atti, Dati e Fatti , ovvero informarsi e comprendere perché non andare a votare il 22 ottobre 2017
L’ inutilità ed inopportunità del referendum consultivo del Veneto è ora ulteriormente sviluppata e ragionata con una selezione di atti, dati e fatti afferenti l’opzione in esame. In questa direzione vanno i seguenti paragrafi:
a) gli articoli della Costituzione nr. 116, 117, 119 alla luce della decisione regionale referendaria,
b) la sintesi del cammino finora realizzato dalla Regione Veneto in applicazione art. 116 comma 3,
c) tempistica atti e comparazione quote di compartecipazione tra Regione Veneto e Regioni a Statuto Speciale.
a) gli articoli della Costituzione nr. 116, 117, 119 commentati,
Articolo 116, testo costituzionale.
Il Friuli Venezia Giulia [cfr. X], la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale.
La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.
Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo
117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.
Commento:
Lart.116 comma 3, si compone di tre fasi concatenate l’una all’altra in una sequenza logico-temporale, di cui la fase referendaria è una fase distinta ed antecedente che per nulla incide sull’esito delle medesime, usando il linguaggio della Corte non permette “di derogare ad alcuno degli adempimenti costituzionalmente necessari” “.
Alcune questioni complesse da affrontare (rectius che dovranno essere affrontate) nelle tre differenti fasi.

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a) La necessità di sentire “gli enti locali” è stato ribadito dalla Corte, il loro parere è di natura obbligatoria ma non vincolante, e comporta la necessità di individuare forme di loro consultazione, attesa la perdurante mancata istituzione del Consiglio delle autonomie locali, (C.A.L.) previsto dall’articolo 123 della Costituzione a 16 anni data dall’entrata in vigore della modifica costituzionale. Sul tema languono in Consiglio Regionale, due disegni di legge abbinati e licenziati dalla competente commissione in un unico testo già a decorrere dal 28 ottobre 2015. Ma si sa il destino è cinico e baro, infatti la maggioranza leghista non ha finora trovato né il tempo né il modo, di calendarizzare e quindi votare in Assemblea ciò che ha già votato in Commissione; forse sta sabotando sé stessa. Comunque sia ora è nella consapevolezza dei Consiglieri Regionali il comma 3 art. 116, che impone l’obbligo di dover consultare gli enti locali, presumibilmente il dettato costituzionale potrà accelerare l’iter di approvazione di una legge regionale attuativa anche dell’art. 11 dello Statuto. Oltre le regole di composizione del CAL e delle funzioni da svolgere, si segnalano -in anteprima- delle criticità si segnalano sulle seguenti aree:
a1) in quale fase del procedimento riguardante l’intesa Stato-Regione, questa debba essere oggetto di parere, affinché vi sia tempo e spazio per entrare nel merito della stessa e fornire un parere motivato e ragionato,
a2) valutando sia il contenuto dell’articolato che le schede per ciascuna materia per la quale la Regione chiede il trasferimento è indubbio che gli Enti Locali osserveranno attentamente quale potrà essere la loro parte nello specifico e, nel complesso, insistendo con la Regione per avere assicurazioni anche nei loro confronti. Il decentramento e l’esercizio delle funzioni, in particolare amministrative e regolamentari, dovrà diventare metodo normale di esercizio delle stesse: per lo Stato verso la Regione, da questa verso i Comuni.
b) L’intesa deve avere un contenuto, ma di che ampiezza e profondità? L’intesa Stato-Regione non dovrebbe essere limitata alle modalità di esercizio delle potestà normative (legislativa e regolamentare) nelle materie considerate ma dovrebbe, invece, riguardare anche la distribuzione delle funzioni amministrative e delle risorse finanziarie per il corretto funzionamento delle prime. Allo stato dell’arte, il testo costituzionale consente la massima libertà e dunque sono possibili numerose varianti. L’intesa, quindi, dovrebbe avere cura di:
b1) delimitare, nel modo il più puntuale possibile, i confini interni della materia e gli ambiti settoriali inclusi nel conferimento;
b2) individuare quale tipologia di potestà normativa consentire alla Regione nella materia così delimitata, potendosi spaziare in una gamma compresa tra la potestà esclusiva e la semplice potestà regolamentare; b3) specificare il riparto delle funzioni amministrative negli ambiti settoriali indicati anche con riferimento alle funzioni assegnate da altra legislazione statale (tra cui il dl n. 95 del 2012 convertito nella legge n. 135 del 2012 e la legge Delrio, n. 56 del 2014) agli enti locali territoriali (Città metropolitane, Province, Comuni);
b4) definire il quadro finanziario legato ai trasferimenti di funzioni, rimodulazione tributi esistenti, diversa partecipazione al gettito, nuovi tributi;
b5) prevedere una o più sedi di raccordo permanente sul modello delle commissioni paritetiche esistenti nelle Regioni speciali. Per quanto riguarda la proposta avanzata dal Veneto con dgr nr. 315 del 15 marzo 2016, Allegato A) non tutti i punti soprarichiamati sono stati definiti, anche a causa dell’interruzione improvvida voluta dal Presidente del Veneto. Celebrato l’inutile referendum, il percorso spezzato riprenderà di necessità da questo punto.
c) Quali potranno essere i tempi di approvazione successivi all’intesa Stato-Regione? In base alle disposizioni vigenti, art. 1, comma 571, della legge di stabilità per il 20145 (l. n. 147 del 2013), è previsto un

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termine di 60 giorni dal ricevimento dell’iniziativa regionale entro il quale il Governo ha l’obbligo di attivarsi sulle proposte di attuazione dell’art. 116 comma terzo Cost., anche se finora tale possibilità non ha prodotto esiti significativi. Inoltre, una volta che si è concluso il negoziato e l’accordo è stato recepito da entrambe le parti, dovrebbe essere il Governo a presentarlo al Parlamento. Qualora l’Esecutivo non ottemperi, è immaginabile che l’iniziativa possa essere presa dai parlamentari eletti nella regione che ha sottoscritto l’intesa, nel presupposto che questi ne condividano il punto di equilibrio raggiunto. Difficile fare previsioni sull’argomento. In effetti, un conto è “rappresentare” le istanze del territorio di appartenenza, un conto è privilegiare il gruppo parlamentare di appartenenza, non sentendosi influenzati dalla collocazione del proprio partito rispetto alla maggioranza governativa in essere al momento. La norma stabilisce che il patto siglato, dovrà essere approvato nel medesimo testo in ciascuna delle due Camere a maggioranza assoluta dei componenti: 316 deputati e 158 Senatori, l’effetto “navetta” non è affatto escluso e tutti sanno che può durare anni! Il testo dell’accordo è emendabile oppure non è emendabile? Va da sé, che in questa seconda opzione le leggi di approvazione delle intese ex art. 116 comma terzo, saranno costituite da un articolato chiamato a riprodurre fedelmente il testo dell’intesa. Sullo sfondo resta il quadro politico già oggi molto “strappato”, tendente al peggioramento più ci si avvicina alla primavera del prossimo anno, ben consci che il post elezioni può significare un ritorno al passato, ovvero a Governi di coalizione, larghe e folte, ma che faticano a reggere decisioni che puntano a premiare un’unica parte del territorio italiano. Ecco perché vanno ascritte alle responsabilità specifiche in modo maggiore del Centro Destra ed in modo minore, ma compartecipe, del Centro Sinistra, gli ultimi 16 anni persi in Regione Veneto senza avere applicato l’art.116 comma terzo!
In conclusione, la fase a) potrebbe avere tempi gestibili, trattandosi di una fase in house a Venezia, ed ancheperché tutti gli attori in scena hanno l’interesse a fare presto e bene, ma solo nel presupposto che tutte le previsioni costituzionali e statutarie avessero già trovato attuazione. Nei fatti così non è, dato che il C.A.L. regionale ancora non esiste. La fase b) diventa più complicata perché entra in campo l’altro soggetto contraente: il Governo Nazionale. Qui dipenderà molto dalla distanza tra le richieste regionali e l’offerta governativa, dalla composizione e dalla qualità dei rapporti politici e personali intercorrenti tra le componenti regionali versus esecutivo e viceversa, dall’imponderabilità degli eventi successivi alle elezioni del prossimo anno. Tempi per concludere, visti i precedenti (leggasi più avanti quanto accaduto nel quinquennio 2005-2010), non prevedibili. Ancora più incerti ed indecifrabili sono i tempi della fase c) ossia l’approvazione dell’accordo Stato-Regione del Veneto, una volta che lo stesso è approdato in Parlamento.
Se tutto va bene, il Veneto potrà iniziare a discutere ed ottenere (forse) ciò che ha già inviato a Roma quindici mesi or sono nel corso della legislatura 2018-2023, altrimenti dopo, oppure ciò non avverrà mai; con buona pace di chi andrà a votare il 22 ottobre 2017.
Articolo 117, testo costituzionale.
La potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;

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e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustiziaamministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull’istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; operedell’ingegno;
s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Commento
Questo articolo elenca le materie oggetto del “desiderio” regionale di potenziamento e rappresenta il cuore della contesa in atto. Nello specifico trattasi di 3 materie di competenza esclusiva statale e di ben 20 di competenza legislativa concorrente fra Stato e Regione. La querelle o la farsa che dura da più di tre lustri fra le Regioni da un lato e lo Stato dall’altro con relativo contenzioso in essere per le materie di cui al comma 3, è uno dei tanti capitoli tragicomici della commedia all’italiana che va in onda da anni. A dire il vero, recentemente, aveva tentato di porvi rimedio la proposta di riforma costituzionale Boschi-Renzi integrata dall’accordo Finocchiaro-Calderoli proprio su questi articoli, ma come è noto il “popolo sovrano” bocciò l’intero pacchetto.

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Ripescando il quesito sottoposto ai cittadini “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?” Una prima risposta certa è che tali “ulteriori forme” non possono riguardare ciò che è stato bocciato con la nota sentenza.
In pratica il Veneto non potrà più richiedere a Roma di trattenere per sé: né l’80% dei tributi pagati annualmente dai cittadini veneti, né l’80% dei tributi riscossi nel territorio regionale, né destinare a ciò che ritiene più utile ed opportuno derivante dalle fonti di finanziamento proprie della Regione, né diventare una regione a statuto speciale, né, infine, diventare una Repubblica sovrana ed indipendente, stile “La Serenissima”.
A dire il vero, il Veneto ha già presentato una propria piattaforma di richieste indicate nella Dgr nr. 315/del 15 marzo 2016 -Allegato A) che, elenca le materie per le quali si richiede la competenza legislativa ed amministrativa, ossia 2 su 3 per quelle riservate allo stato e 9 su 20 per quelle a legislazione concorrente. Le maggiori attribuzioni ricalcano quanto già chiesto nel dicembre del 2007, non si capisce la ratio dell’assenza della materia “organizzazione della giustizia di pace” scomparsa dall’elenco nell’istanza del 2016.
Considerato che la sentenza della Corte è stata resa pubblica nel luglio 2015, ha dell’inverosimile l’art. 56 dell’articolato di legge che accompagna la proposta di intesa avanzata dalla Regione che cambiando forma ma non sostanza, richiede quanto già cassato dalla pronuncia più volte citata. In particolare l’articolo appena citato, prevede di sostenere i maggiori oneri derivanti dall’insieme di funzioni trasferibili dal centro alla periferia con i: 9/10 di IRPEF, IRES, IVA riscossi in Veneto. Quale atteggiamento potrà assumere il Governo al tempo in carica rispetto a chi non rispetta le sentenze della Corte e non formula proposte in esecuzione di una sentenza del giudice delle leggi e, men che meno, inspirate al principio di leale collaborazione? A ben vedere l’80% è diverso dai 9/10, in termini di provvedimenti incoerenti ed incongruenti sul piano degli atti amministrativi, senz’altro un atteggiamento di arroganza eccessiva verso l’altro necessitato contraente. Ma su questo punto, chissà se il popolo una volta compiutamente informato, applaudirà il comportamento del Presidente del Veneto il 22 ottobre.
Per chiarire ulteriormente, dalla lettura del decreto presidenziale nr. 50 del 24 aprile 2017(sic!), risulta che il Governo ha dato la propria disponibilità solamente in data 16 maggio 2016 per l’avvio della procedura negoziale limitatamente alle materie già richieste dal Veneto che a loro volta sono quelle già ricomprese nel novero richiamato dall’art. 116 comma 3. Presumibilmente, il fatto che la risposta sia arrivata cosi tardivamente, ma entro comunque il termine utile per negoziare, ha infastidito non poco chi aveva già deciso di rompere le relazioni Venezia-Roma; da qui la precisazione nel decreto presidenziale che s’indice il referendum “preso atto, pertanto, della posizione in tal modo assunta dal Governo di diniego(!?) della possibilità di concordare il contenuto del referendum” A dir il vero, il Presidente avendo a disposizione una maggioranza ossequiente e silente -come sovente lo è l’opposizione-, in Consiglio Regionale si era “fatto” approvare lr. nr. 15/2014, che prevedeva e prevede leggasi articoli 1 e 2, “un primo negoziato “sulla materia referendaria costruendosi ad hoc, un obbligato ricorso al popolo nel caso di diniego da parte governativa. Vale la pena di ricordare che l’art. 2 della citata legge regionale recava 5 quesiti referendari, di questi i 4 più significativi e densi di contenuto -rispetto al quinto- erano stati bocciati, rimaneva in piedi solamente il quesito di cui al numero 1 comma 1 art. 2 ovvero il “vuoto pneumatico”. Ma proprio ed esclusivamente su questo si è concentrata e dispiegata tutta la potenza regionale rappresentata da un uomo solo al comando! A Roma, a loro volta, si sono fermati all’iter scandito dall’art. 116 comma 3 e di scendere a patti in “anteprima” con la Regione del Veneto non hanno voluto sentir ragioni. Chissà se al Governo nel 2016 ci fossero stati i vari Berlusconi, Bossi, Maroni e lo stesso Zaia -versione romana non in salsa veneta- come sarebbe andata a finire. In realtà lo svolgimento del film lo abbiamo già visto -ma pochi se lo ricordano, rectius se lo “vogliono” ricordare e trarre un’onesta valutazione basata sui fatti accaduti- perché da maggio 2008 la richiesta avanzata dalla Regione del Veneto di maggiori attribuzioni applicando il comma 3 art. 116 risulta smarrita nei meandri capitolini.
Agli atti, comunque, risulta che l’apertura formale della trattativa nazionale era stata comunicata e cosi, più
importante e del tutto “politica-politicante”, diventa la consultazione dei cittadini veneti. Il “popolo” non lustri or

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sono, ma due anni fa, ha eletto i propri rappresentanti regionali per affrontare e risolvere i problemi non per abbandonare il campo appena fischiato l’inizio partita! Il sospetto che più che amministrare nel rispetto non della forma ma della sostanza di norme e di sentenze, si voglia solamente fare propaganda usando le istituzioni come sezioni di partito, è una certezza. La ricerca, a tuti i costi, della spinta che viene dal basso per fare ciò che si deve fare in ragione del proprio ruolo di Presidente lungimirante vale, alla data di oggi, 13 milioni e 510.000 mila €. Qualsiasi amministratore di ente pubblico o manager di azienda privata sa che rientra nei suoi compiti d’ufficio: trattare con la controparte e negoziare un contratto (intesa) al meglio delle condizioni possibili per chi rappresenta, senza andarsene al primo stormir di foglie!
Articolo 119, testo costituzionale
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione [53 c.2] e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato.
Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio.
E’ esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.
Commento
L’art. 119 è un punto cardine, in quanto tutti i principi ivi richiamati dovranno essere tenuti ben in considerazione nella fase di trattativa Stato-Regione al fine di conseguire un corretto trasferimento di ulteriori competenze e non a caso la migliore dottrina, ha – da tempo – fatto notare che quello dell’art. 119 Cost. rappresenta la maggiore ipoteca per l’effettiva implementazione del “regionalismo differenziato”.
Invero, la disposizioni vigente, la legge 42/2009 (“Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione”), contiene una disposizione dedicata al tema in oggetto (l’art. 14) che precisa: “Con la legge con cui si attribuiscono, ai sensi dell’articolo 116 comma terzo della Costituzione, forme e

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condizioni particolari di autonomia a una o più regioni si provvede altresì all’assegnazione delle necessarie risorse
finanziarie, in conformità all’articolo 119 della Costituzione e ai princìpi della presente legge”.
Seppure nella sua laconicità, da questa disposizione si trae un’interessante conseguenza: al conferimento di nuove competenze deve corrispondere un adeguato trasferimento di risorse aggiuntive e non è invece pensabile che la Regione debba gestire le nuove funzioni a condizioni finanziarie invariate.
Tali risorse aggiuntive potranno essere individuate sia attraverso un autorizzato incremento della fiscalità regionale, con corrispondente riduzione della fiscalità statale nella Regione, in ossequio al principio di equilibrio complessivo del sistema, sia in termini di maggiori trasferimenti erariali dallo Stato.
In questo contesto la richiesta di nove decimi di: Irpef, Ires ed Iva da parte del Veneto (art. 56 allegato A dgr nr. 315/2016), verso lo Stato centrale rappresenta l’ennesima provocazione, ben sapendo che ciò non potrà essere ottenuto. La mossa è del tutto strumentale per occupare i mass media regionali e nazionali nel reclamare “ciò che spetta al Veneto” e fare cosi mera propaganda affinché il “popolo” si rechi alle urne.
D’altro canto i mezzi di comunicazione hanno sempre dato ascolto e riportato in grande evidenza ciò che il
Presidente veneto, pontifica sia nei quotidiani più diffusi in sede regionale sia nelle emittenti televisive locali.
Non v’è dubbio che la strada da percorrere è accidentata, anche perché chi governa (di qualsiasi colore politico egli sia) deve tener conto oltre che dello stato attuale della finanza pubblica anche del fatto che, bocciate in via giudiziale la secessione, l’indipendenza, la sovranità e la specialità regionale, il Veneto era, è e rimarrà un’entità istituzionale nel quadro dell’unità nazionale retto sotto forma di “Repubblica Italiana”.
È facile presumere che conclusisi i referendum in Veneto e Lombardia, altre Regioni che nel recente passato hanno tentato di arrivare all’intesa senza riuscirci, ad esempio Toscana e Piemonte cosi come l’Emilia Romagna che si è appena attivata, avranno tutto l’interesse a non essere “differenziate” a partire proprio dalle singole devoluzioni derivanti dalle quote di compartecipazione nel gettito erariale. Sul punto focale delle risorse da trasferire una volta conclusa l’intesa, trattandosi di Regioni a Statuto ordinario, non potranno esserci discriminazioni di sorta nelle percentuali delle quote di compartecipazione ai tributi.
Tutte le altre regioni del Centro Sud, si faranno valere presso i loro rappresentanti che siedono e nel governo e nel parlamento finchè dura questa legislatura e già da settembre e mano a mano che ci si avvicina alla data delle prossime elezioni di primavera chiederanno di non essere “penalizzate” dalle possibili trattative in corso con i territori del Nord Italia.
Viceversa Veneto e Lombardia a trazione leghista, faranno l’opposto con toni sempre più accesi e roboanti, come d’uso e consuetudine. I partiti nazionali, garantiranno ad ognuna delle dependance regionali che “l’intesa sarà la più proficua “purché il voto di primavera vada nella direzione auspicata.
Come spesso capita nel palcoscenico della politica, in questo caso nazionale, non sapendo poi come uscirne dall’ennesima impasse istituzionale alla quale si aggiunge la questione, non di poco conto e rilevo, dell’assenza a tutt’oggi di una legge che attui – a 16 anni data – l’art. 116 della Costituzione, qualcuno proporrà la necessità di una legge statale che disciplini tutti gli aspetti di ordine generale afferenti: criteri, modalità, tempi, procedure, natura degli atti riguardanti l’intesa tra Governo e singola Regione richiedente.
L’iniziativa legislativa prima di essere discussa in entrambe le Camere, sarà preceduta da un aperto confronto con le Regioni in ordine al suo contenuto nella sede istituzionale prevista “Conferenza Stato-Regioni”, ça va sans dire. Quanto tempo sarà necessario per approvarla? Chissà forse un’intera legislatura, guardando il calendario la prossima prevista è quella che inizia con l’anno di grazia 2018.

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Per gli appassionati dell’argomento, si segnala che il problema era già noto. Infatti, venne approvato nel Consiglio dei Ministri del 21 dicembre 2007, un primo ddl con il quale si cercava di definire l’iter procedurale per l’approvazione dell’intesa e le modalità di verifica, dopo 10 anni, della stessa.
Un dettaglio, di poca importanza, riguarda le attività propedeutiche prima di arrivare al tavolo della trattativa. Agli uffici ministeriali deve essere dato il tempo per: leggere, esaminare, farsi un’idea, richiedere -se del caso- pareri interni ed esterni al proprio ufficio nonché interloquire via telefono o, meglio, via e mail con i corrispondenti uffici regionali, assumere una posizione tecnica chiara sull’argomento trattato, raccordarsi con l’esponente governativo referente sul “pacchetto “ricevuto dalla regione richiedente.
L’operazione, va ripetuta da parte dei singoli dicasteri/direzioni centrali chiamati in causa, ratione materiae, in riferimento a ciascuna delle funzioni: legislative, amministrative, regolamentari, di gestione rilevabili da un’attenta lettura di tutti gli articoli che precedono il 56 sopracitato dell’allegato A) dgr nr. 315/2016. Dopodiché, quando le “carte sono pronte” come amano dire i politici, altro tempo trascorrerà per: trovare una data ed un’ora da concordarsi in relazione alla titolarità e rappresentatività di chi partecipa, a cui seguiranno inevitabili ri-esami, ri-approfondimenti, coordinamenti inter-settoriali e pluriministeriali, eccetera, eccetera.
Così come i tempi dei burocrati non sono contingentati, tantomeno lo sono quelli degli esponenti istituzionali, sia per quelli di Roma sia che per quelli di Venezia. Ecco il disegno di legge si occupava anche di questo, com’è finito? Deceduto sul campo causa interruzione anticipata della legislatura. Si sa, eventi che succedono.
I Lombardi ed i Veneti alla crociata del “regionalismo differenziato” rischiano di essere come i pifferi di montagna “partirono per suonare e furono suonati”, in più pagarono anche il conto per chi, più sapientemente, passò all’incasso senza gravare sulle tasche dei cittadini-contribuenti: Toscani, Emiliano-Romagnoli e Piemontesi in primis!
Chissà se i Presidenti della Lombardia e del Veneto, nonché i loro fiancheggiatori, si sono posti la domanda della ricaduta della loro scelta nelle decisioni delle restanti regioni “ordinarie” e nello scacchiere nazionale, ovvero Governo e Parlamento soggetti indispensabili.
b) La sintesi del cammino finora realizzato dalla Regione Veneto in applicazione art. 116 comma 3.
L’approfondimento è ripartito in periodi a cadenza quinquennale, ovvero la durata di un mandato regionale.
-quinquennio 2000-2005-
La legge che ha introdotto la riforma dell’art. 116 è entrata in vigore l’8 novembre 2001, governava Silvio Berlusconi che nel suo secondo esecutivo composto da: Forza Italia, AN, Lega Nord, Biancofiore (Ccd – Cdu), Indipendenti, durò in carica dall’ 11 giugno 2001 al 23 aprile 2005. (Governo nr. 59 della Repubblica).
In Regione del Veneto la Giunta era presieduta da G. Galan per il quinquennio 16 aprile 2000 -5 aprile 2005 in sostanziale omogeneità con il quadro nazionale, senza però la Lega Nord nella compagine dell’esecutivo locale.
In questo periodo la Giunta Regionale, non adotta atti significativi ai sensi dell’art. 116 comma 3.
-quinquennio 2005-2010-
A livello nazionale si susseguono i Governi nr. 60, 61, 62:

Governo Berlusconi, stessa coalizione partitica, dal 23-4-2005 al 16-5-2006;

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Governo Prodi, composto da: Margherita – DS – Udeur – It.d.V. – Verdi – Prc – Rosa n. P. – Quota Prodi, durata dal 16-5-2006 all’8-5-2008,
Governo Berlusconi, composto da: Popolo della Libertà, Lega, Movim. Sud, durata dall’8-5-2008 al 16-11-2011.
Nella compagine governativa, per attuare il decentramento delle funzioni pomposamente definito “federalismo”,
sono assegnati i seguenti dicasteri:
• Ministro Umberto Bossi (Lega Nord), “Riforme per il Federalismo”,
• Ministro Roberto Calderoli (Lega Nord) “Semplificazionenormativa”,
• Ministro Roberto Maroni (Lega Nord) “Interno”
• Ministro Luca Zaia (Lega Nord) “ Agricoltura”
A livello regionale, la Giunta è capitanata da G. Galan dal 5 aprile 2005 al 21 aprile 2010, la composizione vede il Centrodestra omogeneo al quadro nazionale, includendovi anche la Lega Nord.
Atti regionali
Con la Dgr. n. 3255 del 24 ottobre 2006, intitolata “Avvio del percorso per il riconoscimento di ulteriori forme e condizioni di autonomia alla Regione del Veneto, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione” si approva l’attivazione dell’iter con una prima proposta che prevede di avviare il negoziato per i settori: rapporti internazionali della Regione, tutela della salute, istruzione, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi, polizia regionale e locale, tutela e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, organizzazione della giustizia di pace. (oggi non più richiesta dalla giunta a guida Zaia)
Interessante in questo atto è l’annuncio del Presidente pro-tempore, anche nella sua qualità di Senatore impegnatosi a presentare: “tre proposte di legge (una proposta di legge delega al Governo per l’attuazione del federalismo fiscale ai sensi dell’articolo 119; una proposta di legge costituzionale, ai sensi dell’articolo 138 della Costituzione, per il riconoscimento di una autonomia differenziata al Veneto in analogia a quella di recente riconosciuta alla regione della Catalogna; una proposta di legge costituzionale di modifica dell’articolo 116, primo comma della Costituzione, per ricomprendere il Veneto tra le Regioni ad Autonomia Speciale”. Si registra che, al di là dei notevoli sforzi fatti dal rappresentante di Forza Italia sopracitato, la Gazzetta Ufficiale non riporta traccia di leggi in materia avanzate, per la prima volta, in sede regionale.
Due mesi dopo, con Dgr n. 4167 del 28 dicembre 2006, sullo stesso argomento e su proposta dell’allora Vice – Presidente (oggi Presidente) è affidato un incarico di consulenza per mesi sei a decorrere dal 29 dicembre 2006 al prof. Lucio Pegoraro, docente di Diritto pubblico comparato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bologna, studioso delle riforme costituzionali, in particolare dell’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni, dietro corrispettivo di € 12.000,00 al netto di I.V.A. e C.P.A.. Si segnala che la Regione, stante la sua funzione e conseguente apparato dirigenziale, non difetta di giuristi esperti in diritto pubblico anche comparato.
Con deliberazione del Consiglio Regionale n. 98 del 18 dicembre 2007, si perfeziona la proposta per il riconoscimento alla Regione del Veneto di un’autonomia differenziata, decidendo di ampliare la gamma delle materie, rispetto alla proposta di Giunta, cosicché la richiesta di avviare trattative con il Governo ai sensi dell’articolo 116, terzo comma della Costituzione riguardano:
istruzione; tutela della salute; tutela e valorizzazione dei beni culturali; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; potere estero della Regione; organizzazione della giustizia di pace; tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; ordinamento della comunicazione; previdenza complementare ed integrativa; protezione civile; infrastrutture; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di

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credito fondiario e agrario a carattere regionale; governo del territorio; lavori pubblici. Nello stesso atto, votato all’unanimità, è affidato al Presidente della Giunta regionale il mandato di negoziare e concertare con il Governo della Repubblica, in armonia al principio di leale collaborazione, la definizione di un’intesa; tenendo -ovviamente
– informato tempestivamente il Consiglio sugli sviluppi della fase negoziale.
La proposta è notificata a Roma ad inizio 2008, ad inizio maggio entra in carica il Governo Berlusconi con una folta delegazione leghista appositamente dedicata al “federalismo”, da allora del provvedimento nr. 98 del Consiglio Regionale del Veneto non si hanno più notizie. Il provvedimento decade con lo scadere della legislatura regionale ad aprile 2010. Si sa , eventi che succedono.
Qualche dato per riflettere:
a) Il provvedimento vede il pieno appoggio, trattandosi di rafforzare l’istituzione regionale a sei anni data dalla possibilità offerta dal rinnovellato art. 116 comma 3, del Centro Sinistra.
b) A maggio 2008 vince le elezioni nazionali il Centro Destra il cui Governo durerà fin oltre il termine del mandato regionale. Sarebbe stato logico aspettarsi un’accelerazione del negoziato intrapreso tra Regione e Governo per una solerte conclusione dell’intesa, essendo entrambi i contraenti dello stesso colore politico. Ciò non accade la “pratica” dorme sonni tranquilli, chissà forse erano quasi tutti impegnati in tutt’altre faccende, Mose ad esempio, come più tardi sarà scoperto dalla magistratura.
c) L’opposizione in sede consiliare, pure d’accordo nel merito, sulla questione non esercita la propria funzione di controllo e di stimolo verso l’esecutivo regionale né nell’istituzione né nella decantata “società civile”.
d) I media locali, invece, tengono costantemente informati ed aggiornati con apposite rubriche e talk show dedicati con la presenza in video dei politici regionali i loro lettori ed ascoltatori sul procedere dell’intesa, ovvero un monitoraggio continuo presso il Governo ed il Parlamento della richiesta di maggiori competenze volute fortissimamente dal Veneto per i Veneti. A seguito di questa massiva campagna mediatica, si ricordano numerosissime lettere al direttore pubblicate nelle maggiori testate giornalistiche e radio-televisive di: cittadini, associazioni di categoria, organizzazioni sindacali, chiesa cattolica, tutti appassionati nel seguire questo importante “work in progress comunitario” capace di spostare poteri dallo Stato centralista ed inefficiente alla Regione del Veneto che, a contrario, appena può devolve proprie funzioni, risorse e beni ai soggetti intermedi ed alle istituzioni territoriali. Essenziale in questo spaccato di civismo veneto, è stato l’apporto di esperti: politologi, giuristi, economisti e sociologi provenienti dalle eccellenti Università regionali, che con ponderate analisi, riflessioni e grafici esplicativi, ampiamente pubblicizzati, hanno tenuto alta la tensione verso il risultato da raggiungere. (la lettera d è di pura fantasia).
In termini generali l’ostacolo maggiore, all’interno della procedura formalizzata nell’art. 116 Cost., è senza dubbio rappresentato dal raggiungimento dell’intesa con il Governo statale, accordo che non è stato possibile raggiungere nemmeno – caso Veneto lo certifica – quando le maggioranze di governo negli enti coinvolti erano omogenee, situazione che, all’opposto, avrebbe dovuto facilitare un esito positivo.
Gli errori, come si sa, debbono essere ripetuti. Il Vice-Presidente di allora (oggi Presidente) non aveva buoni rapporti né relazioni con il Governo Berlusconi né con gli sconosciuti Bossi-Maroni-Calderoli-Zaia (trattasi della stessa persona oggi Presidente), quindi oggi ha -si presume- irrilevanti rapporti con gli attuali componenti dell’esecutivo nazionale, di conseguenza si prende e fa prendere al Veneto un’ulteriore pausa di sospensione. Si

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segnala per chi si appresta a votare il 22 ottobre che, con questa ulteriore meditazione, il percorso previsto
dall’art. 116 comma 3 è sempre in fase di mancato decollo, ovvero dal 2008.
L’aereo dell’autonomia rafforzata sta rullando nella pista da 9 anni. Il co-pilota regionale all’epoca, diventato Ministro della Repubblica Italiana assieme al vertice leghista e sedicente “federalista”, oggi “il comandante supremo” è sempre lo stesso attore con più parti in commedia nella scena nazionale e locale. Gli accadimenti trascorsi portano ad un’unica conclusione, alla Lega di affrontare e risolvere la questione di avere maggiori attribuzioni per la Regione, non interessa affatto!
Il giovane Vice-Presidente della Giunta nel 2005 ed il più maturo Presidente del Veneto dal 2010, assomiglia aquell’atleta che si allena sempre, ma così tanto e così intensamente, ma il giorno della via si parte, che fa? Non si presenta!
-quinquennio 2010-2015-
A livello nazionale, si susseguono 4 Governi (62-63-64-65) a partire da quello Berlusconi che copre il primo anno di mandato regionale, terminando appunto il 16 novembre 2011. Quindi:
Governo Monti – governo tecnico 16 novembre 2011 – 25 Aprile 2013,
Governo Letta Coalizione politica: Partito Democratico – Popolo della Libertà – Lista Civica dal 25 Aprile 2013 al 22 febbraio 2014
Governo Renzi – Coalizione politica: PD, NCD, SC, UdC dal 22 febbraio 2014 – al 7 dicembre 2016
In regione la Giunta Regionale è presieduta da Zaia, 21 aprile 2010-01 giugno 2015 e la coalizione vede assieme FI e LN.
Atti regionali
Il quinquennio vede la Giunta impegnata nella presentazione ed approvazione delle leggi nr. 15 e 16 del 2014 recanti 6 quesiti referendari, frutto del “patrimonio ideale ed ideologico” della Lega Nord, che incarnano un’altra visione di Regione in un altro Stato. Di questi ben 5 sono cassati dalla Corte Costituzionale.
Essendo stato l’evento, dato il consenso e la leadership che la Lega ha in Veneto, di valore emblematico ed epocale riceve uno spazio ed un approfondimento analitico nei media regionali (e nazionali) di intensità pari a quello descritto nela precedente lettera d) per il provvedimento consiliare del 2007. Silenzio assordante anche da parte di chi, specificatamente le variegate forze del Centro Sinistra eppure del Centro Destra più responsabile, perseguono uno sviluppo ragionevole delle Autonomie Regionali.
In riferimento all’applicazione dell’art. 116 comma 3 sono da registrare tre disegni di legge della giunta inviati al Consiglio: DGR/DDL n. 25 del 2012, DGR/DDL n. 26 del 2012 e DGR/DDL n. 27 del 2012, spiaggiati durante la fase di negoziazione con il Governo. Visti i precedenti, ciò era facilmente prevedibile. D’altra parte le qualità/capacità di negoziatore e di interlocutore affidabile, non si improvvisano solamente perché si ascende di ruolo e di funzione da Vice-Presidente a Presidente.
A supporto dell’esecutivo e delle strutture regionali, sempre più carenti, si rafforza la composizione dei consulenti esterni che passano da uno per sei mesi della precedente legislatura a sette per un anno (dgr.nr. 2097 del 03 agosto 2010) per un costo complessivo di € 160.000,00. Tale Gruppo di lavoro è costituito per la realizzazione del “federalismo a geometria variabile” (forse era meglio chiamarlo a “ragioneria variabile”) e per il “federalismo fiscale” ed ha il compito, in particolare, di formulare proposte, pareri e indicare i percorsi giuridici (legislativi e amministrativi) da seguire da parte della Regione. Inoltre, accompagna e supporta l’azione della Regione nelle diverse fasi della negoziazione con il Governo. I compensi per ciascun consulente sono cosi previsti: Prof. Luca Antonini: euro 30.000,00 Prof. Ludovico A. Mazzarolli: euro 30.000,00 Avv. Massimo Malvestio: euro
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30.000,00 Avv. Sandro De Nardi: euro 20.000,00 Dott.ssa Monica Bergo: euro 20.000,00 Dott.ssa Giorgia Gosetti: euro 17.500,00 Dott.ssa Chiara Ferretto: euro 12.500,00. I predetti compensi devono intendersi omnicomprensivi di imposte, tasse, contributi previdenziali.
-quinquennio 2015-2020-
A livello nazionale, prosegue il Governo Renzi fino a dicembre 2016, quindi subentra l’attuale esecutivo presieduto da Gentiloni (in carica), trattasi del Governo nr. 66 sorretto da: Partito Democratico; Alternativa Popolare; Centristi per l’Europa; Articolo 1 – Movimento Democratico Progressista; Democrazia Solidale -Centro Democratico; Partito Socialista Italiano; Civici e Innovatori;
A livello regionale, Zaia è riconfermato a partire dal 01 giugno 2015 (in carica) e la coalizione di giunta è composta da: Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia-An
Atti regionali
Importante è la dgr. Nr. 315 del 15 marzo 2016 iniziativa, ai sensi della legge regionale n. 15/2014, per attivare il negoziato con il Governo al fine del referendum regionale per il riconoscimento di ulteriori forme di autonomia della Regione del Veneto. Importante è l’Allegato A) che illustra e specifica puntualmente tutte le richieste che la Regione intende avanzare allo Stato, redatte sotto forma di articolato suddiviso in tre Capi.
Nel primo Capo vengono richieste forme e condizioni particolari di autonomia legislativa e amministrativa, nel secondo vengono richieste forme e condizioni particolari di autonomia amministrativa in determinati e specifici settori, mentre il terzo Capo contiene le disposizioni finanziarie con le indicazioni delle fonti di finanziamento delle nuove competenze richieste. Quest’ultimo capitolo è in netto contrasto con la sentenza della Corte.
Significativo è il Decreto Presidenziale nr. 50 del 24 aprile 2017 con il quale viene indetto il referendum del 22 ottobre prossimo venturo, già precedentemente annotato.
E’ istituito un Comitato Strategico (Advisory board), composto da esperti costituzionalisti, al fine di assicurare supporto alla Regione del Veneto ed al suo Presidente nell’avviato percorso per l’autonomia del Veneto. Il team è composto in ragione della specifica qualificazione professionale e dell’alto prestigio di cui godono in ambito nazionale, il Prof. Mario Bertolissi ordinario di Diritto Costituzionale, il Prof. Luca Antonini ordinario di diritto Costituzionale e il Prof. Carlo Buratti ordinario di Scienze delle Finanze, tutti presso l’Università degli Studi di Padova, ai quali non è corrisposto alcun compenso se non il rimborso delle spese di trasferta.
C) tempistica atti e comparazione quote di compartecipazione tra Regione Veneto e Regioni a Statuto Speciale.
In questo breve, ma significativo paragrafo, si pongono in evidenza dati normativi e di finanza pubblica che
testimoniano, in termini incontrovertibili, la prepotenza e la forzatura a danno dell’ istituzioni regionale.
Una prima fonte è il dato legislativo; in questo ambito la legge regionale del 19 giugno 2014, n. 15 “Referendum consultivo sull’autonomia del Veneto.”, approva i seguenti quesiti:
“Vuoi che una percentuale non inferiore all’ottanta per cento dei tributi pagati annualmente dai cittadini veneti all’amministrazione centrale venga utilizzata nel territorio regionale in termini di beni e servizi?”;
“Vuoi che la Regione mantenga almeno l’ottanta per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale?”;
“Vuoi che il gettito derivante dalle fonti di finanziamento della Regione non sia soggetto a vincoli di destinazione?”;

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“Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale?”,
che va letta assieme alla legge nr. 16, stesso giorno ed anno che completa il quadro con la domanda fondativa:
“Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e sovrana? Si o No?”.
Ebbene, tutti e cinque bocciati dalla Corte Costituzionale con sentenza nr. 118/2015, rimane – con tutti i limiti sopra rilevati – unicamente quello stampato sulla scheda predisposta per il 22 ottobre. La sentenza della Corte Costituzionale è pubblicata in Gazzetta Ufficiale il primo giorno di luglio 2015 e da allora è valida ed efficace erga omnes, Presidente del Veneto incluso.
A questo punto, anche gli inesperti in scienze giuridiche afferrano il concetto che, negata qualsiasi forma di
“specialità” sia istituzionale che economica, alla Regione del Veneto è ripetuto fino alla noia che:
1) era e rimane una delle 15 Regioni a Statuto Ordinario in cui si articola la Repubblica Italiana,
2) maggiori competenze e risorse possono, a richiesta regionale, essere negoziate e concordate con lo Stato
cosi come sancito, scandito e prefigurato dall’art. 116 comma 3 Costituzione.
A dispetto di tale chiarezza e precisione, che fa il Presidente del Veneto? Predispone ed approva un atto deliberativo in marzo 2016, (dgr. nr. 315) con il quale enumera le competenze ulteriori da richiedere, ma sul tema “risorse” eleva la percentuale a: “nove decimi del gettito: dell’Irpef, dell’Ires e dell’imposta sul valore aggiunto” cosi come testualmente prevede l’art. 56 Allegato A) dgr precitata. In verità tutti sanno -da decenni- che, tale possibilità è prevista unicamente ed esclusivamente per alcune delle Autonomie Speciali”, cosi come riporta l’apposita scheda disponibile – da anni- in internet e predisposta dall’ufficio studi della Camera dei Deputati.
Per tabulas gli atti regionali stanno a dimostrare, ancora una volta, la slealtà e l’ambiguità di chi rappresenta il Veneto al tavolo negoziale nazionale, il tutto con l’aggravante dell’uscita temporanea dal campo di gioco del Presidente del Veneto per celebrare un referendum farlocco.
Una scelta motivata e di forte testimonianza civile: non recarsi al seggio elettorale il prossimo 22 ottobre.

La documentazione citata si trova integralmente nei siti internet:
gli atti regionali https://bur.regione.veneto.it/BurvServices/Pubblica/ricerca.aspx ,
sentenza Corte http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2015&numero=118 , Regioni ed Enti Locali “Speciali” http://www.camera.it/cartellecomuni/leg14/RapportoAttivitaCommissioni/testi/05/05_cap14_sch04.htm la legge attuatitva del C.A.L. risulta calendarizzata a settembre 2017, nota del giorno 16.09.2017

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